21.03, Giornata per la Memoria delle Vittime Innocenti di Mafia
- Volontariato Sarpi
- 21 mar 2021
- Tempo di lettura: 4 min
Credo che il modo migliore per celebrare questa giornata sia leggere le storie delle vittime innocenti, lasciarsi catturare dai nomi e dalle vicende, scoprendole talvolta intrecciate talvolta isolate, talvolta eroiche, con slanci tragici talvolta semplici, struggenti. Per fare ciò ci viene in aiuto lo sterminato archivio presente sul sito di vivi.libera. Più di 1000 nomi e storie documentate ed approfondite, tra le quali vi invitiamo a perdervi in autonomia.
Io sfogliandolo sono rimasto colpito dalle disparate età delle vittime: spuntano persone anziane così come bambini, a partire da Giuseppina Utano, 3 anni, rimasta vittima in un agguato (dicembre 1975) mirato al padre, uomo di fiducia del boss della ‘Ndrangheta. Proprio il padre è paradossalmente l’unico uscito indenne dalla macchina crivellata dai proiettili, poiché seduto al posto del passeggero, dopo che gli era stata sequestrata la patente, mentre la moglie che stava guidando fu scambiata per Utano e ne uscì gravemente ferita. Nonostante ciò e nonostante la morte della figlia, probabilmente seduta nel sedile centrale posteriore, Utano non volle collaborare con la giustizia per scoprire gli autori del gesto, tuttora ignoti.
L’unica colpa di Giuseppina è stata quindi l’essersi nel posto sbagliato al momento sbagliato, sulla traiettoria di un proiettile non destinato a lei; proprio questa “colpa” la accomuna a molti dei nomi fissati in quell archivio. Ad esempio Domenico Gabriele (11 anni) raggiunto da un proiettile vagante, sparato durante un regolamento dei conti tra cosche locali, mentre giocava a calcio in un campetto nella periferia di Crotone a settembre 2009.
Altre volte non si tratta di proiettili vaganti ma di vere e proprie stragi efferate e volontarie. Sul sito di Libera si incontrano infatti nomi (talvolta decine) per sempre legati tra loro da una data. E’ questo il caso della Strage di Castelvolturno (2008), ad opera di uomini legati al Clan dei Casalesi, in cui rimasero uccisi 7 immigrati africani, totalmente estranei a qualsiasi forma di malavita organizzata. Il raid, impressionante soprattutto per l’enorme potenza di fuoco impiegata, oltre ad un'evidente matrice razzista, aveva uno scopo intimidatorio mirando ad incutere terrore nella collettività e rimarcare con violenza il proprio potere nei confronti della comunità africana (numerosa a Castelvolturno) e in particolare forse nei confronti della mafia Nigeriana.
In alcune di queste storie la famiglia ha un ruolo importante: molte vittime innocenti erano imparentate con famiglie malavitose (come Giuseppina), mentre altre volte, soprattutto negli anni ‘70 e soprattutto nel nord, vennero prese di mira componenti di famiglie di imprenditori non implicati in attività illecite allo scopo di ottenere un riscatto. Sono quelli gli anni più tetri della stagione dei sequestri, le mafie iniziano a finanziarsi attraverso i rapimenti. Sera 30 Giugno ‘75 Cristina Mazzotti figlia di un ricco imprenditore, ha festeggiato i suoi 18 anni insieme a 2 amici e compagni di liceo e ora con loro si dirige in macchina verso casa. Improvvisamente vengono affiancati e bloccati da due auto. Scendono delle figure armate che cercano e prelevano Cristina. La ragazza rimane rinchiusa per un mese in una piccola stanza, troppo bassa per tenersi in posizione eretta, imbottita di farmaci sedativi o eccitanti. Nel frattempo la famiglia fa trattative sul riscatto che alla fine viene pagato per un totale di 1 miliardo di lire. Ma ormai Cristina è morta di overdose o di stenti e poi buttata in una discarica avvolta in un sacco. Molti dei rapinatori erano uomini della ‘Ndrangheta, affiancati da malviventi locali.
Ci sono poi ovviamente le storie di chi è stato assassinato poiché ha tentato di denunciare e spiegare a tutta Italia i meccanismi della mafia dall’esterno, è questo il caso di molti magistrati e giornalisti noti o meno noti. Oppure vi sono i testimoni che da dentro le spire della malavita decidono di denunciare. Sono queste storie eroiche di immenso coraggio, come quella di Lea Garofalo. Lea cresce immersa nel mondo delle mafie, il padre fu ucciso in un regolamento dei conti quando aveva solo 9 mesi, ma la sua attività fu raccolta dal filgio maggiore. Lei a 14 anni si innamora di Carlo Cosco, anch’egli uomo di mafia con cui si trasferisce a Milano. Nel ‘96 suo fratello e Carlo vengono arrestati, è in quest’anno per lei sicuramente durissimo, a seguito del quale decide di tentare di fuggire dalla profonda fossa che il mondo mafioso stava scavando sotto i suoi piedi e quelli della neonata figlia Denise. Così lascia Milano, con in braccio la figlia, cercando una nuova città dove cominciare una nuova vita. Nel 2002 decide di raccontare ai carabinieri tutto ciò che sapeva sugli affari del marito chiedendo di essere inserita nel programma di protezione dei testimoni. Lea e sua figlia rimarranno sotto scorta fino al 2009 quando lei decide volontariamente di rinunciarvi, stanca di quella vita limitata. Ma Cosco era già sulle sue tracce e, nonostante un primo attentato fallito, riesce a convincere Lea a recarsi a Milano, dove la uccide in un appartamento che si era appositamente fatto prestare, per poi affidare il corpo ai suoi uomini affinché venisse carbonizzato.
Voglio concludere con la storia potente, significativa, ma poco nota di Vittorio Maglione, ragazzo campano nato e cresciuto in una “famiglia malavitosa”. Suo padre Francesco era un elemento di spicco di un clan mafioso legato ai Casalesi e suo fratello maggiore anche lui dedito alla vita criminale venne ucciso in seguito ad un tentato furto. Invece Vittorio, probabilmente scosso dalla morte del fratello, inizia ad interessarsi alla figura del giornalista d’inchiesta Giancarlo Siani, ucciso dalla camorra. Così il giovane realizza e decide di non seguire la via già solcata da amici e parenti, sviluppando un forte contrasto tra la sua coscienza e l’ambiente in cui vive, che culmina con il suicidio il 10 aprile 2009 ad appena 13 anni. Vittorio lascia le sue ultime parole su Messanger, tra queste emergono con forza tragica quelle rivolte al padre: << Non voglio diventare come te.>>.
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