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24.03, Giornata Mondiale per il Diritto alla Verità

La prima volta che si è parlato di “Diritto alla verità”, negli anni ‘70, a seguito degli stravolgimenti politici frutto della tensione di quegli anni di Guerra Fredda, coloro che lo rivendicavano ambivano a due atti di giustizia: da un lato pretendevano che i cari delle persone che avevano subito crimini politici venissero a conoscenza della verità, dall’altro esigevano il perseguimento di un dovere da parte dello Stato, quello di indagare sulle persone scomparse. La storia di questo Diritto, dunque, nasce con i cosiddetti “Desaparecidos”, gli “Scomparsi”, gente che per motivi politici veniva arrestata e spariva dalla faccia della Terra da un giorno all’altro, senza che le famiglie ricevessero notizia alcuna. Le vittime della “Guerra Sporca”, figlia dei violenti golpe militari in Cile (1973-90) e in Argentina (1976-83), ancora non hanno avuto giustizia. La ferita in quei paesi è ancora aperta, e se nel 2020 per la prima volta in 43 anni la grande manifestazione delle “Madres de Plaza De Mayo” a Buenos Aires non ha avuto luogo, perché l’intero pianeta era sconvolto dalla pandemia da poco scoppiata, di certo la sete di verità di queste “Madri” non si è spenta.

Ma la verità in decenni di protesta non è ancora venuta a galla.

Ebbene da questo ci si avvedrà già, almeno in parte, del perché la ricorrenza del 24 marzo sia stata istituita proprio nel ricordo del sanguinoso golpe in Argentina. La sparizione di questi - si stima - 30.000 dissidenti (o ritenuti tali) è un evento di dimensioni spaventose, ma se, oltre ai numeri e alla distanza geografica, uno dei fattori che ci fa sentire “distanti” da fatti di questo genere è l’avvenuta destituzione di un’autorità legittima, democratica e tutelante, sapere che eventi di questo tipo accadono anche in paesi con istituzioni solide fa accapponare la pelle. Certo, finché si pensa a situazioni di guerra o di soffocante dittatura come quelle sopra descritte, nelle quali delle persone, singolarmente o in numero elevato, subiscono la “sparizione forzata” (così la chiama Amnesty International) la cosa ci rammarica, ci fa pensare ed indignare, ma non ci stupisce più di tanto. Succede spesso così, purtroppo, e le ingiustizie sembrano svolgersi sempre in un luogo lontano.

Niente di più falso. Dal Messico alla Siria, dal Bangladesh al Laos, dalla Bosnia ed Erzegovina alla Spagna (notare quest’ultima!): i casi di sparizione e censura ancora irrisolti per “segreto di Stato” sono innumerevoli in luoghi tra loro diversissimi.

E in Italia? In passato rapimenti e sparizioni per questioni politiche sono stati frequenti, si pensi al caso Moro. Attualmente la questione tange pubblicamente ancora il nostro paese, in modo opposto: la nota e vicina vicenda di Giulio Regeni e quella di Patrick Zaki ci deve far comprendere quanto ci sia ancora bisogno di lottare per la verità e quanto questi avvenimenti riguardano anche la nostra realtà.

Ma tornando al di là dell’Italia, alla storia di Giulio e Patrick si affiancano quella die quella di Manar Adel Abu el-Naga e della sua famiglia, rapiti e torturati per questioni politiche anche loro in Egitto, oppure il misterioso assassinio dell’attivista brasiliana Marielle Franco. L’elenco è infinito e di molti si insabbiano storie, identità e ideologie.

Da questo emerge l’importanza del diritto alla verità.

In conclusione, occorre fare una piccola precisazione. Nella Dichiarazione Universale dei Diritti Umani (1948), non si fa riferimento esplicito ad un “diritto alla verità”. Tuttavia si potrebbe dire che si tratta di un diritto “composito”, come se fosse la somma di più diritti messi insieme.

Per comprenderne meglio l’entità bisogna considerarne la negazione: la violazione di ogni singolo diritto di cui quello alla verità si compone rende la somma di ingiustizie di una gravità immensa.



Sottocommissione Cultura


 
 
 

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